Commento al Vangelo della III domenica di Quaresima

Lc 13,1-9
 In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». 


La prima parte del Vangelo di oggi sembra portarci non tanto lontano da noi: non nella Gallilea di 2000 anni fa ma nell’Ucraina del 2022, dove tanti uomini stanno morendo non perché siano più peccatori e non perché abbiano meritato di aver subito tale sorte. Quelle tante persone, sulle quali oggi crollano le torri, le scuole, i teatri dell’Ucraina, non sono più colpevoli di tutti gli abitanti della Terra. È proprio vero, nessuno di noi può dire di essere migliore. Nessuno di noi, oggi più che mai, può sentirsi al sicuro. Tutte le volte che accendiamo la tv o leggiamo notizie terribili di tragedie, scontri, guerre etc... dovremmo approfittare per farci un estremo esame di coscienza e domandarci: qual è il vero senso della vita? Io chi voglio essere? Come voglio continuare a vivere? Io vi dico, se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.                                                                                                                                    Gesù non minaccia un castigo, ma profetizza la triste conseguenza riservata a chi ha un cuore indurito. La soluzione è vivere bene la nostra vita, vivere più che sopravvivere. Oggi più che mai, con la guerra nel cuore dell’Europa, siamo “chiamati a rispondere ad ogni richiamo di bene”, a farci strumento, strumento di pace nel luogo dove viviamo così come al di fuori dei nostri confini. La seconda parte del Vangelo, attraverso la parabola del fico, Gesù vuole invitarci a riflettere sulla nostra vita, ci invita quasi a farci un esame di coscienza. Quanto la nostra vita assomiglia a quella di un albero che non porta frutto? Quanto sono scarsi i nostri frutti? Eppure di doni ne abbiamo ricevuti tanti… I nostri talenti dove sono finiti? Sotto terra o hanno portato molto frutto? La nostra vita quotidiana ha prodotto quei frutti per i quali “siamo stati piantati nella vigna?". In questo tempo di Guerra, in questo tempo di Quaresima, mettiamo un po' “di concime” intorno al nostro tronco, preghiamo di più, facciamo opere di carità, offriamo i nostri fioretti e i nostri digiuni per la pace, impegniamoci ogni giorno un po' perché il tempo che ci resta non è infinito. Un giorno quando Gesù tornerà, come troverà il nostro albero?  


                                                                                                                                     Gabriele Esposito

                                                         

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