Commento al Vangelo della V domenica di Pasqua

Gv 13,31-33

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

Per capire il brano odierno bisogna innanzitutto ricordare il contesto in cui ci troviamo: Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli e con questo gesto ha annunciato la sua passione e l’ha interpretata; ha spiegato ai suoi discepoli che quello che stava per succedere, cioè il cammino del calvario e della croce, era una sua scelta di servizio. Con quel gesto Gesù sceglieva di farsi servo dei suoi servi, dei suoi discepoli. Poi, dopo la lavanda dei piedi, Gesù siede a tavola e annuncia il tradimento di Giuda, il quale esce dal cenacolo e successivamente incomincia a ricordare e a proclamare la glorificazione di Dio. Si arriva così alla parte finale di questo passo, personalmente uno dei miei preferiti, in cui si  parla di amore. Il signore ci fa dono di un altro comandamento, diverso però da quelli che ha ricevuto Mosè, che sintetizza tutti i precedenti e ci invita ad amare il prossimo come noi stessi. Se Gesù è maestro, lo è soprattutto nell’arte dell’amare. È facile parlare di amore o credere di vivere l’amore, ma viverlo come lo ha vissuto Gesù, a prezzo del dono della vita, è un capolavoro di amore. Il discepolo di Gesù, infatti, non si distingue perché prega, perché fa miracoli, o perché ha una sapienza raffinata: no, si distingue perché ama, ama gli altri come Gesù li ha amati, “fino all’estremo”. Gli uomini amano, il cristiano ama al modo di Gesù, custodendo nel cuore, ravvivando nella memoria il «come» Gesù ha amato. La gratuità dell’amore di Dio che si rivela pienamente nel Figlio morto e risorto per noi, è un segno che impegna anche noi, nell’amore, e questo, segno, è la connotazione più eloquente del cristiano. Anzi l’amore reciproco non è una croce che ci è stata messa addosso, un peso difficile da portare, ma è l’abito del cristiano: una nuova capacità di vita.

Cristiana Iannicelli

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